Il rigore che Juncker vuole imporre all’Europa
di Ernesto Scelza

Non ci ha mai convinto il modo in cui, in Italia e in Europa, si presentano le ricette alternative per l’economia. Quelle che dovrebbero portarci fuori dalla crisi, mentre ci stanno consegnando allo spettro della recessione. Nulla si dice delle politiche che nella crisi ci hanno portato. Dovrebbero parlare di ideologie ultraliberiste, che venerano il mercato senza controlli, senza regole. E l’Ue, i governi d’Europa non lo farebbero mai. Si preferisce parlare di ‘rigore’ e di ‘sviluppo’ per dire delle politiche in campo per la fuoriuscita dalla crisi. Nessuno ci dice che sono state proprio le politiche ultraliberiste ad aver condotto l’intero sistema mondiale dell’economia alla più grave crisi dal ’29, dal crollo di Wall Street. Non si dice che allora fu una massiccia politica di investimenti pubblici a salvare il capitalismo, accompagnata da un forte prelievo fiscale su redditi e patrimoni. Prima del ‘toccasana’ del rilancio della produzione di guerra. Negli Usa di Obama, è bastato un timido Keynesismo per rilanciare l’economia e ridurre la disoccupazione. Da noi niente di tutto questo. Si continua a parlare di ‘rigore’ nei conti pubblici contro politiche ‘espansive’ di sviluppo. Anche in presenza di un evidente fallimento di queste ricette. Tra i maggiori fautori del ‘rigore’, oltre alla ‘Cancelliera’ Angela Merkel, c’è Jean-Claude Juncker, neo presidente della Commissione europea. Per 18 anni al governo in Lussemburgo, costretto nel 2013 alle dimissioni per uno scandalo. Questo campione del ‘rigore’ è ora di nuovo nel mirino: per aver consentito da premier lussemburghese tassazioni agevolate alle grandi imprese. Anche alle italiane, Fiat in testa, che così sottraevano denaro al fisco italiano. Che il Lussemburgo fosse un ‘paradiso fiscale’ lo sapevamo. Ma non sospettavamo che fosse questo il modello di ‘rigore’ che Juncker immagina per l’Ue.