Lasciamo il Tfr al suo posto
di Sàntolo Cannavale
L’imprenditore – quello che ha resistito fino ad oggi – interpreterebbe a suo modo il messaggio inviato dal capo del governo e deciderebbe di farla finita con l’azienda, vista l’insipienza e l’opportunismo di chi, a certi livelli di decisione politica, non si rende conto della fase drammatica vissuta dalle imprese con riguardo alla collocazione dei prodotti, al calo del fatturato, al difficoltoso incasso dei corrispettivi e, non ultimo, al complicato rapporto con le banche nazionali.
Banche che, a loro volta, soffrono per i crediti in sofferenza di svariati miliardi di euro.
E’ opportuno non toccare le aziende – anzi supportarle – e seguire un altro percorso, tenendo a mente le vicende di Grecia e Cipro, anticipatrici di quanto potrebbe capitare all’Italia nel breve volgere di pochi mesi.
I titoli di Stato italiani in circolazione sono pari a 2.168 miliardi di euro. Riversati sul mercato, provocherebbero un forte calo di quotazioni e l’impennata dei tassi d’interesse.
Punto di forza dell’Italia è il limitato debito privato, 126% del PIL, rispetto ad una ricchezza privata di 8.000 miliardi. Sfruttiamo questa potenzialità nazionale fino a quando possibile.
Propongo pertanto di traslare una quota di debito pubblico verso quello privato con un contributo patrimoniale del 5%, escluso il valore della 1° casa. Con il ricavato di 350 miliardi (7.000 x 5%) il debito pubblico scenderebbe oggi a 1.800 miliardi, pari al 115% dall’attuale 135%, con risparmio di interessi per miliardi.
Eviteremmo quanto accaduto nell’estate/autunno 2011, cioè l’improvviso, forte rialzo dello “spread” fino a 575. Lo spread, lo ricordo a me stesso, è la differenza tra tassi d’interesse pagati sui BTP italiani e quelli offerti sugli analoghi titoli tedeschi.
Ebbene, a fine 2011 l’Italia per vendere i suoi BTP dovette riconoscere un tasso di interesse fino al 7,50%, maggiorato cioè di 5,75 punti percentuali rispetto al 2,25% dei bund tedeschi.
Sarebbero costi impensabili e insopportabile per l’economia italiana, molto più alti degli attuali 90 miliardi di euro versati a titolo di interessi, in buona parte ad investitori stranieri.