Le dinastie al tempo della globalizzazione
di Ernesto Scelza

Se, come insegnavano i classici, le economie più avanzate, la nazioni più sviluppate indicano a quelle più arretrate il cammino da seguire, stiamo freschi. Negli Usa si stanno affilando le armi per le prossime elezioni presidenziali del 2016. Mitt Romney, l’ex governatore del Massachusetts già sconfitto da Barack Obama nel 2012, e dal senatore John McCain nelle primarie del 2008, abbandona il campo perché sul suo nome ci sono i veti di magnati dell’informazione come Rupert Murdoch e di alcuni super finanziatori ultra-conservatori. Lascia campo libero alla candidatura repubblicana di Jeb Bush. Terzo Bush a tentare la scalata dopo George H. W. (quello della Prima Guerra del Golfo) e di George W. (quello manovrato dai ‘neocons’ che ci ha regalato il mondo impazzito e destabilizzato in cui siamo costretti a vivere: tra guerre, ‘scontri di civiltà’ e crisi finanziarie). E così la prima potenza del pianeta si avvia a diventare una ‘democrazia ereditaria’. Tanto più che a contendergli la presidenza Usa si sta da tempo apprestando Hillary Clinton, la super-moglie dell’altro ex presidente Bill. Se dovesse essere vero quello che si diceva all’inizio, da noi dovremo prepararci ad una riedizione aggiornata di Berlusconi. Come se vent’anni non fossero bastati. Ma stiamo tranquilli, nel Paese che ha già visto il dominio in economia del ‘capitalismo familiare’ degli Agnelli, dei Pirelli, dei Falck, non corriamo ancora questo rischio: Berlusconi Silvio non ha nessuna intenzione di passare la mano. Né all’evanescente Piersilvio, né all’aggressiva Marina. Nemmeno il modo in cui è stato giocato da Renzi nella vicenda Quirinale lo convincerà a mollare. L’unica nostra speranza sta negli anziani di Cesano Boscone: che lo convincano a continuare a intrattenerli con le sue canzoni francesi.