Non c’è limite agli orrori consumati in Palestina
di Ernesto Scelza

Avevamo appena finito di scrivere degli orrori che stanno alimentando la Terza Intifada in Palestina, che si sono appresi particolari ancora più terribili su quanto successo. L’autopsia sul corpo di Mohammed Abu Khdeir conferma che il giovane sedicenne di Gerusalemme Est è stato rapito e dato alle fiamme in un boschetto. Il vecchio Shimon Peres condanna: “un assassinio è un assassinio, sempre” dice. Benyamin Netanyahu condanna anche lui. Dopo che il quindicenne cugino di Mohammed, Tariq Khdeir, viene brutalmente pestato da due soldati israeliani non può tacere: Tariq è nato a Baltimora, vive a Tampa, Florida, è cittadino americano. Non può tacere. A costo di subire gli attacchi della destra estrema del suo governo, non può tacere. E intanto si moltiplicano le incursioni dei ‘droni’ sulla Striscia di Gaza, che provocano la morte di civili innocenti. Così, l’ultima speranza di riaprire un processo di pace in Palestina svanisce. Dando scacco all’impegno del Segretario di Stato Usa John Kerry, alle speranze di Papa Francesco e del mondo intero. Ma altre considerazioni ci spiegano la realtà che si vive in Palestina. I tre ragazzi israeliani rapiti e poi uccisi a Hebron vivevano su territori palestinesi che i coloni israeliani occupano abusivamente da decenni. Nutriti di un’ideologia religiosa estrema. Come gli assassini di Mohammed, che avevano partecipato alle manifestazioni in cui la destra religiosa chiedeva vendetta per Eyal, Gilad e Naftali. E non hanno solo ucciso un innocente, hanno programmato il rapimento e il modo dell’esecuzione. Coscientemente, freddamente. Mentre gli facevano bere la benzina già sapevano che gli avrebbero dato fuoco. E doveva soffrire, perché la punizione fosse inesorabile. Avesse il marchio della giustizia divina.