Non è una crisi, questa, è una regressione storica
di Ernesto Scelza

Nella Piana del Sele un allevatore di pecore sente, alle due di notte, i cani abbaiare, si affaccia e nota delle ombre attorno all’ovile. Prende il fucile da caccia e spara un colpo. “In alto” dice, ma le cartucce si aprono e i pallini colpiscono due giovani di Campagna che cercavano di rubare delle pecore. Vicino, era stazionato un furgoncino. I giovani sono ricoverati in ospedale, il pecoraio si fa delle ragioni, la magistratura indaga. Ma l’episodio è illuminante per altri versi. Ci apre uno spaccato sociale che si sta incancrenendo nella crisi. Altro che società industriale e post-industriale, altro era della globalizzazione e della finanza. L’Italia sta regredendo a livelli di economia di vita e di consumi da mondo precapitalistico. E ricompare un reato antico: l’abigeato. Non ci stupiremmo se sapessimo che i due ladri non sono legati ad alcuna ‘cosca’, che non hanno contatti con mercati pronti a mettere in circolazione la refurtiva. Che il furto delle pecore sarebbe servito a soddisfare i bisogni diretti di sopravvivenza. Sarebbe il trionfo del ‘valore d’uso’ della merce rispetto al suo ‘valore di scambio’: la sconfitta delle ipotesi di una economia-mondo sempre proiettata verso “le magnifiche sorti e progressive”. Attendiamoci ora liti infinite sulla proprietà dei frutti che cadono dagli alberi ai confini dei poderi. Attendiamoci il recupero di un sapere antico che faceva diventare balzani i garretti dei cavalli e dei muli, cambiandone i connotati identificativi. Attendiamoci la rivincita dell’universo contadino, ingenuo e spietato, contro la raffinata civiltà del mondo moderno. Il Sud, in questa rincorsa all’indietro si trova già in vantaggio.