Non ha mai smesso di morire, Franco Mastrogiovanni
di Ernesto Scelza

Non solo Stefano Cucchi aspetta giustizia per aver trovato la morte violenta per mano di rappresentanti dello Stato che avrebbero dovuto garantirne custodia e cura. A fine luglio 2009 viene prelevato su una spiaggia e condotto nel reparto psichiatrico dell’Ospedale san Luca di Vallo della Lucania Franco Mastrogiovanni. Vi muore dopo 90 ore di pene, immobilizzato su un letto di contenzione, polsi e caviglie legati, imbottito di psicofarmaci e abbandonato da medici e infermieri. Anarchico, maestro elementare, amato dai suoi alunni -“il maestro più alto del mondo” per la statura che ne faceva un ‘gigante buono’-, appassionato di libri. Coltivava l’ideale di una società antiautoritaria e giusta. Franco era stato coinvolto nel ’72 in un evento tragico: uno scontro con un gruppo di attivisti missini che distrusse tre vite. Quella del giovane segretario del Fuan, Carlo Falvella, che vi trovò la morte. Quella di Giovanni Marini, che scontò una prigionia condita di violenze e minacce che non terminarono con la scarcerazione, ne condizionarono l’esistenza e ne causarono la morte. E la stessa vita di Franco ne fu segnata per sempre. Una vita che Franco amava e che ha cercato di condurre nel rispetto dei suoi ideali. Da oggi, a Salerno, si svolge il Processo d’Appello per la sua morte, dopo un primo grado che ha riconosciuto la responsabilità di alcuni medici, scagionandone altri e gli infermieri. Ma le telecamere di sorveglianza che mostrano l’agonia di Franco ci dicono di un sistema barbaro e inumano che condanna alla tortura chi gli viene consegnato. E Franco era stato sottoposto a Tso, il ‘Trattamento Sanitario Obbligatorio’, perché aveva infranto il codice della strada, e perché era anarchico. “Noto anarchico socialmente pericoloso e intollerante alla divisa”, così il provvedimento che giustifica il suo prelievo forzato e la segregazione in ospedale.