Sui migranti vige una sovranità necropolitica
di Gennaro Avallone
Se io dico che gli immigrati ci piacciono solo se zitti in fondo al mare in modo da poterli commemorare o se piccoli e denutriti in modo da poterne benevolmente salvare alcuni, vengo considerato umanamente squallido, piccino, gretto, una persona che non capisce gli atti di solidarietà e sensibilità.
In questo senso, allora, io non sono sensibile. Se sensibile vuol dire celebrare i morti e non mobilitarsi a favore dei vivi, allora io sono insensibile, cattivo, rancoroso.

Ogni anno, dal 2014, rappresentanti dell’Unione Europea e dello Stato italiano si incontrano a Lampedusa il 3 ottobre per commemorare i 368 morti che si verificarono nel 2013 in una delle peggiori stragi nel Mediterraneo. E mentre commemorano, organizzano e approfondiscono la repressione dei movimenti migratori, come sancito nell’Agenda europea delle migrazioni del 2015 e 2017. Più si piangono lacrime istituzionali, più quelle istituzioni lavorano per reprimere, controllare, criminalizzare.
Questo avviene anche a livello locale. In alcune città italiane, si piangono i morti che sbarcano nei porti, ma si continua ad invocare più controllii contro la popolazione immigrata, che continua ad essere definita come un problema per la sicurezza nazionale e dei cittadini,
È lo spirito necropolitico a guidare i sentimenti verso le migrazioni: criminali o prostitute quando, da vivi, li incontriamo per strada e ne parliamo nei salotti televisivi; povere vittime da piangere, quando i loro corpi, morti, arrivano sulle nostre spiagge o nei nostri porti. È il trionfo della politica della morte di cui Achille Mbembe, a stretto contatto con Michel Foucault, ci ha spiegato il meccanismo, in quanto espressione ultima della sovranità, che consiste “nel potere e nella capacità di decidere chi può vivere e chi deve morire”, per cui “uccidere o permettere di vivere definiscono i limiti della sovranità, i suoi attributi fondamentali”.
Dunque, lo spirito necropolitico è quello che fa sua la sovranità necropolitica, cioè che si fa portatore di un’idea del mondo in cui qualcuno può decidere della vita e della morte di qualcun altro.
A questo spirito ben si adattano tutte le celebrazioni della morte dei migranti, in cui una società, quella che contribuisce a dare la morte, si autoassolve attraverso la celebrazione del suo stesso potere di morte. E tale potere lo mette in mostra, a fronte di corpi morti, con tanto di corteo di lacrime e belle parole.
A questo spirito io mi sottraggo e se questo vuol dire essere un selvaggio insensibile, bene, allora sono un selvaggio insensibile.